Il Covid, la guerra, i semiconduttori, l’inflazione, le politiche scellerate dei nostri governi, le case automobilistiche che esternalizzano il lavoro, ma non abbassano i prezzi, “strozzate” dalle limitazioni e da un elettrico che seguono e assecondano come se fosse la soluzione a tutti i “mali”.
Queste, se vogliamo, sono tre righe che riassumono il perché il mondo dell’auto sta crollando e nessuno se ne sta realmente preoccupando. Tre righe che proviamo a sviscerare in cinque punti, per raccontare brevemente i cambiamenti che da addetti ai lavori stiamo vedendo nel nostro tanto amato quanto “dilaniato” ambiente delle quattro ruote. Un racconto fatto di pensieri sparsi, che, una volta riuniti, vogliono fotografare un momento difficile per l’automobile.
La pandemia ha creato una serie di problematiche che ancora oggi si ripercuotono sul mercato e sull’industria automobilistica. Dalla riapertura della produzione nel post lockdown, gli stabilimenti non hanno più trovato “pace”, con i ritmi a singhiozzo, prima a causa proprio delle restrizioni, poi per colpa dell’assenza di semiconduttori, dei famosi chip, che oggi sono presenti in ogni autovettura, dalla “semplice” Fiat Panda in maniera minore, alla più “tecnologica” Rolls Royce in modo determinante. Tutto ciò ha rallentato notevolmente l’uscita delle nuove unità dalle fabbriche, con tempi di consegna che, ancora adesso, toccano e a volte superano l’anno di attesa.
Problemi che, per fortuna, sembrano in continuo miglioramento, ma che hanno portato alcune Case automobilistiche a eliminare lo stock, aumentando l’attesa dopo l’ordine del nuovo e portando l’assenza di “pronta consegna” a una prassi consolidata, principalmente nel mercato premium e luxury. Tutto questo ha crea un effetto “lista d’attesa per il Rolex” che in molti clienti spegne il solo desiderio di acquistare un nuovo modello. Il mercato così ne risente; un mercato già colpito dall’assenza di nuovi modelli realmente convincenti.
Quando la soluzione alle prime problematiche sembrava essere in via di risoluzione, con le previsioni del PIL in netta crescita e una sorta di rinascita davanti agli occhi della maggior parte della popolazione mondiale, è arrivato il conflitto Russia-Ucraina a congelare ogni speranza. Gas, materie prime e instabilità macroeconomica, oltre alla tragedia di una nazione messa in ginocchio, hanno riempito l’agenda dei governi e dei mass media. I primi si sono prodigati per cercare di contenere gli aumenti delle bollette e del carburante, mentre i secondi hanno contribuito a raccontare lo scempio della guerra, tra informazione puntuale e veritiera da una parte e tra allarmismi e fake news dall’altra.
In questo scenario, l’automobile ha visto aumentare ogni costo possibile e immaginabile. La benzina, i costi di energia, di riscaldamento e di produzione hanno toccato le stelle, ma al tempo stesso molti fornitori fuori dall’interesse del conflitto hanno colto l’occasione per applicare rincari più che generosi.
Durante i primi mesi successivi all’invasione russa le voci di emergenza nelle produzioni e, soprattutto, nell’approvvigionamento si rincorrevano una dopo l’altra, tanto che, ad un certo punto, sembrava che tutti i materiali utili all’industria automobilistica provenissero dall’Ucraina. La fabbricazione e consegna di alluminio, vetro, cavi, cablaggi, guarnizioni e varie altre componenti, invece, è stata realmente interrotta dalla situazione geopolitica e ancora una volta gli effetti sono stati il rallentamento della produzione di auto e l’aumento dei listini.
A proposito di aumenti c’è l’auto elettrica, che ha subito un contraccolpo nella sua crescita anche a causa di questa serie di eventi, capace di mettere a nudo come mai prima le odierne lacune di un mondo ampiamente globalizzato. Energia, chip e costi da contenere, sono stati tre elementi che hanno “tarpato le ali” al nuovo che avanza.
Un nuovo che, però, già prima destava non poche perplessità, dovute a molteplici fattori che mostrano quanto l’automobile alimentata esclusivamente a batterie sia ancora un cantiere a cielo aperto, una fucina di idee dove l’obsolescenza dell’auto è ormai accomunabile quasi a quella degli smartphone, portando alcune vetture recenti, ma non nuovissime e all’avanguardia, a essere snobbate per colpa di una tecnologia in continua evoluzione. Qui entra in gioco uno dei grandi problemi odierni: le auto di oggi costano troppo.
Alibi per questo aumento continuo negli ultimi tre anni dei listini ce ne sono, questo è fuori da ogni dubbio, ma bisogna anche dire che l’esternalizzazione della produzione fuori dai confini dei propri paesi (meno costi, meno regolamentazione e meno sicurezza sul lavoro fuori dall’Europa), la repentina discesa qualitativa nella scelta dei materiali, oltre alla grandissima condivisione di progetti, piattaforme e tecnologie, avrebbero meritato quantomeno uno sbalzo più contenuto.
A onor del vero avrebbe dovuto portare a una discesa dei prezzi delle auto termiche e, invece, la continua scomparsa degli allestimenti e dei modelli entry level ha cercato di giustificare una salita costante, portando pian piano i crossover di segmento B a diventare le vetture nuove più accessibili, ma al tempo stesso facendo fare un exploit alle auto usate.
Un aumento dei prezzi del nuovo che ogni giorno di più sa di intenzione volontaria di avvicinare i listini delle termiche tradizionali a quelli delle vetture elettriche, diminuendo un divario che ancora oggi è ampio per la maggior parte dei modelli.
Tornando sul mercato delle vetture di seconda mano, questo ha visto una vera e propria esplosione, che si motiva non solo per l’aumento dei prezzi del nuovo, ma anche per le incognite relative al futuro dell’auto, delle sue alimentazioni e banalmente del semplice utilizzo di queste ultime. D’altronde per tanti ancora l’auto è una necessità primaria non un bene di lusso e se il mercato risponde male al nuovo da qualche parte dovrà pur “rifugiarsi”.
L’ulteriore conseguenza è stata l’aumento dei prezzi anche in questo settore, dove le vetture di interesse sportivo o collezionistico hanno toccato cifre fino a pochi anni prima impensabili, ma anche le vetture appartenenti alla fascia di ingresso hanno preso quotazioni non indifferenti, allontanando chi ha poca disponibilità economica dal dare ricambio alla propria vettura obsoleta e più inquinante. Speculatori su speculatori hanno portato i prezzi alle stelle, con la complicità primaria delle Case produttrici, che hanno iniziato a vendere meno e a guadagnare di più, tagliando ovunque fosse possibile farlo, per una decrescita felice, ma che non guarda al futuro.
Il cambiamento climatico è reale ed è sotto gli occhi di tutti, chi lo nega oggi è in malafede. Le automobili hanno inquinato molto e continuano a farlo, dalla produzione allo smaltimento. Questi due aspetti hanno mosso il mondo politico, già dal 1997 quando venne firmato il Protocollo di Kyoto, dando vita a una cooperazione internazionale tra i paesi per dare delle linee guida più o meno perseguibili.
Negli anni i progressi nel tema dei trasporti sono stati enormi. L’introduzione delle classi di inquinamento, i sistemi per abbattere le polveri sottili, l’ibrido, l’ammodernamento degli stabilimenti e tanto altro: volendo esagerare nella visione, oggi le auto sono quasi dei grandi filtri su ruote, in grado di catturare l’aria esterna e di rimetterla nell’ambiente più pulita rispetto a prima.
Nel frattempo, l’elettrico conquista l’ambiente green con emissioni locali pari a zero, ma tutti sappiamo che anche l’energia che le alimenta deve essere prodotta in maniera pulita, altrimenti ogni sforzo è vano. Se poi consideriamo che in Europa si stanno facendo tanti sforzi per produrre una parte dei risultati sperati, con grandi sacrifici da parte di tutti gli attori in gioco, fuori dall’Unione Europea le politiche “verdi” sono molto più contenute, avendo però un peso a livello ambientale decine di volte superiore al “nostro”. Se non c’è unione di intenti e cooperazione internazionale a cosa servono tutti questi sforzi?
Spesso, in questa ottica del voler agire a tutti i costi, anche solo di facciata (va di moda oggi il termine greenwashing), si sono viste decisioni prese dalla politica e dalle istituzioni senza alcun effetto reale sortito. Un esempio semplice è rappresentato dai blocchi del traffico nelle grandi città, che portano costantemente a non ottenere alcun risultato, aspettando che sia la pioggia o il vento a ripulire l’aria, mentre i sistemi di riscaldamento obsoleti e le fabbriche continuano a pesare nel bilancio della qualità dell’aria. Fu esemplare il periodo del primo lockdown di marzo 2020 in Italia, dove il tasso di inquinanti nell’aria non scese neanche di un punto percentuale nonostante le auto fossero quasi del tutto ferme.
La malafede citata a inizio paragrafo sembra essere qui, nel non voler lavorare su soluzioni reali, che ci sono e che non sono neanche così “impopolari”. Decongestionare il traffico con sistemi più tecnologici, incentivare il cambio auto anche con modelli recenti a motore termico adatti a tutti le tasche, pianificare la creazione di parcheggi sotterranei togliendo le auto dalla strada, migliorare la viabilità, costruire infrastrutture efficienti e strade sicure: a mio modo di vedere queste sono manovre di una politica che vuole aiutare i cittadini ad utilizzare l’auto in maniera consapevole e a liberarsene perché ha alternative a disposizione.
L’ignavia di portarti a odiare l’auto perché utilizzarla quotidianamente è sempre più difficoltoso, o perché è sempre più costosa da comprare e da mantenere, non è sicuramente la strada giusta da perseguire.
Spesso i manager delle aziende automobilistiche vivono nel pieno spirito aziendalista questi cambiamenti, sposando una causa dettata dalla politica e dal marketing, non avendo il potere o, ancor peggio, la competenza e gli “attributi” di mettere in discussione alcune decisioni. Loro, i dirigenti, che prendono o avallano le decisioni a lungo termine, fra 5 o 10 anni probabilmente non ricopriranno più quel ruolo, ma i lavoratori, dagli operai e tutta l’industria al servizio dell’automotive, ne pagherà le conseguenze in maniera molto più pesante, soprattutto se le scelte non sono state ben ponderate e graduali.
Un esempio? Con il bando della vendita di auto termiche nel 2035, si è creata una corsa all’essere elettrificati, con diversi Marchi automobilistici che hanno iniziato a proclamare fieramente che sarebbero diventati completamente elettrici già dal 2026, dal 2028 o dal 2030, con piani che si reggono in piedi esclusivamente sul taglio delle spese, sulla diminuzione delle vendite e sull’aumento dei prezzi. Ai clienti finali qualcuno ha mai pensato? Anche i sindacati, da sempre difensori dei lavoratori, sembrano disinteressarsi di questa desertificazione dell’auto dal nostro paese, mentre tutti ricordiamo l’autunno caldo di fine anni 60, le rivendicazioni, gli scioperi e le agitazioni per ogni mancanza di tutela per la forza lavoro.
Da una parte c’è l’UE che preme notevolmente con regolamentazioni che costringono le Case auto a fare i salti mortali per rimanere nei paletti imposti dall’alto, ma sacrificando molti aspetti e aprendo spazi enormi dove, dall’altra parte, in Oriente, spingono forte sull’acceleratore e sono sempre più presenti con prodotti low cost pronti a prendere quote di mercato importanti. Fuori dal nostro continente, infatti, la Cina sta vivendo un periodo di grande produttività anche nel mondo auto, a discapito, ovviamente, del nostro. Possono essere i dazi l’unico mezzo per fare concorrenza? Non in quello che dovrebbe essere un mercato libero e aperto, che premia chi lavora meglio.
L’auto sta vivendo una transizione e un’evoluzione che, come tutti i cambiamenti, porterà ancora forti scossoni e al momento chi vive ai “piani alti” dell’automotive e delle istituzioni sembra non se ne stia preoccupando o semplicemente non stia capendo quanto sia importante procedere in maniera graduale e non costrittiva. Il mio interesse e il nostro interesse da appassionati è quello di non assistere alla silenziosa fine di un settore. A tutto questo non aggiungo l’essere appassionati di auto, perché i molti che si definiscono petrolhead, hanno ragionamenti che potremmo definire estremisti, benché siano solamente spinti da un amore viscerale per cilindri e pistoni.
L’auto non è solo passione per i motori e per la potenza, ma è anche un simbolo di libertà, un mezzo al servizio dell’uomo, una semplificazione rivoluzionaria nel mondo dei trasporti, per la quale siamo preoccupati e alla quale cerchiamo sempre e comunque dare il nostro piccolo contributo. Questa visione, facilmente criticabile e non condivisibile, forse un po’ romantica e pessimista, è frutto non solo dei miei ragionamenti, bensì anche della voce di tanti colleghi, di tanti addetti ai lavori e di tanti, tantissimi clienti, che non si capacitano di come le cose stiano prendendo una piega difficile sotto così tanti aspetti.
Prosegue in modo estremamente spedito il piano di espansione di Microlino in Italia. Dopo la…
Lanciata nel 2022, la Mazda CX-60 nel 2025 si rinnova con un interno che adotta…
Dal 1° gennaio 2025, le multe stradali in Italia subiranno un aumento del 17,6%, con…
La gigantesca Zona a traffico limitato Area B di Milano è un gigantesco flop. Basti…
La produzione del colosso cinese BYD in Ungheria partirà nel 2025: la terra magiara sarà…
La Ferrari F80, con i suoi 1.200 CV derivati da una power unit ibrida ispirata…