I.DE.A Institute è da sempre stata una realtà progettuale dal profilo davvero unico. Ha attraversato alcune tra le decadi dell’automobile che più di altre si sono caratterizzate per la loro rapida evoluzione. In questa evoluzione I.DE.A Institute si pose con costanza attraverso il medesimo approccio, al tempo stesso inventivo e pragmatico, preferendo non influenzare un progetto dal punto di vista stilistico; la volontà del cliente è un’elemento di prima importanza e ogni progetto anche sperimentale o concept car, è sempre inserito in una prospettiva di fattibilità industriale. Esempio eccellente di questo approccio è la concezione dei veicoli chiamati “Unispazio”.
L’azienda individuò una procedura innovativa nella quale l’impostazione delle volumetrie dello spazio interno e le caratteristiche del suo involucro si stabiliscono attraverso la ridefinizione dei packaging di partenza, quindi collocando diversamente anche gli organi meccanici svincolandosi da ogni “abitudine” progettuale.
La tipologia del monovolume (in quegli anni in crescita) fu particolarmente apprezzata dai tecnici di I.DE.A Institute, non soltanto come alternativa ai tipi tradizionali ma anche come evoluzione significativa delle prestazioni funzionali che generavano un’estetica inedita. Da qui partirono potenziandone il concetto attraverso l’impostazione “Unispazio”, che si distingueva per un’alta flessibilità degli interni, modularità e un’accresciuta abitabilità disegnata in funzione degli occupanti, generando intere famiglie di veicoli quali citycar, vetture medie, grandi berline, coupé e fuoristrada.
I primi risultati di queste rinnovative ricerche sono confluite nel progetto Grigua (1992), un prototipo sperimentale di vettura compatta a tre posti (lunga solo 3.280 mm), con posto guida in posizione centrale avanzata e un’ampia possibilità di configurazione degli interni (un posto anteriore e due posteriori). Esternamente si caratterizza per le ampie superfici vetrate che si estendono anche al di sotto della linea di cintura e dai fari anteriori in posizione rialzata. La scelta dei tre posti venne determinata da ricerche che mostrarono quanto statisticamente i posti occupati normalmente in auto nell’uso comune arrivino difficilmente a quattro.
La seconda applicazione sperimentale vede la luce nel 1994 con la Gritta che, come al tempo espresse il capo del design I.DE.A (dal 1984 al 1993) Justyn Aleksander Norek: “voleva provare la fattibilità sul piano industriale dell’utilizzazione di una base meccanica esistente nell’ambito del segmento A, quello delle piccole utilitarie. Altro obiettivo era formulare un’architettura che fosse assolutamente nuova. Si è quindi arrivati alla soluzione interna su tre posti, due davanti e uno dietro a destra, riservando lo spazio a sinistra per conducente, serbatoio e bagagli. Nonostante l’impiego di componenti meccanici della Fiat Cinquecento, anche se previsti in un contesto diverso, la Gritta offre uno spazio utile a bordo sorprendente”. La piccola vettura (lunga 2.960 mm) è caratterizzata da ampi vetri per una massima visibilità e luminosità interna, fanaleria anteriore verticale e un lunotto a tutta altezza apribile a doppio battente per accedere in poco spazio al bagagliaio. Gritta dimostrò come fosse possibile attraverso l’impiego di componenti di grande serie, dar forma a una vettura inedita, purché si sia disposti a esplorare nuove e originali impostazioni architettoniche.
In occasione del lancio sul mercato della Fiat Punto nel 1993, su invito del Gruppo Fiat viene proposto a I.DE.A Institute di proporre una reinterpretazione sul tema Punto, realizzando un modello statico da esporre al Salone dell’Automobile di Torino 1994; lo studio accetta sbilanciandosi verso la definizione di qualcosa di completamente diverso, una coupé. Chiamata Fiat Lampo si evidenzia per la volumetria generale che propone una vettura si, tipicamente coupé, ma con profilo monovolume (Unispazio) e abitacolo avanzato.
Le forme sono affilate all’anteriore, sottolineate da fanali sottili e verticali con una presa d’aria minima a tutta larghezza, mentre il fianco si fa più muscoloso, grazie a una nervatura che va impennandosi dall’anteriore estendendosi sotto i finestrini, per poi equilibrarsi con la bombatura posta sopra i passaruota posteriori; la vista posteriore è dominata da un’ampio lunotto e dal sottile fanale orizzontale. L’auto, raccolta nelle forme sembra in picchiata sulla strada.
Di indirizzo completamente diverso è la concept car Vuscià del 1996, progettata sulla meccanica della Fiat Brava nasce per rispondere alle richieste sempre più diversificate di vetture in grado di conciliare le caratteristiche funzionali di tipi differenti con le nuove rinnovate esigenze di mobilità e flessibilità d’uso; la concept è un’insieme di station wagon, monovolume e sportività.
Presenta un’abitacolo ampiamente configurabile grazie alla mobilità totale dei sedili (fino a sei), che consentono di dare più spazio a bagagli o occupanti in base alle necessità; difatti proprio a sottolinearne le caratteristiche il nome deriva dal dialetto ligure, che sta per “vossignoria”. La Vuscià si pone come massima espressione del concetto Unispazio, generando una vettura che oscilla tra famiglia e rappresentanza: le forme sono ardite e originano da attenti studi aerodinamici che mirano a ridurne la sezione anteriore senza limitarne lo spazio interno. Caratteristici i fari anteriori rialzati e le ormai tipiche estese superfici vetrate.
In ultimo un progetto che estende ulteriormente sia il concetto Unispazio che l’idea di generare gamme di vetture incentrate sulla modularità e scalabilità. Grazie allo sviluppo dei telai space frame (anche in alluminio) e approfondendo gli studi sui profilati richiesti dal Gruppo Fiat, si arriva a definire modelli che pur avendo stessa meccanica possono dar forma a prodotti completamente diversi, scalando di volta in volta i profilati del telaio, portando verso grandi economie di produzione a fronte di un maggior numero di versioni e modelli proposti; il risultato sarà la piccola Modulaire, nel 1994. Questi progetti sono opera particolare di Justyn Norek, dal 1993 responsabile dello stile coadiuvato per gli interni da Francois Lampreia.
L’avventura progettuale dell’I.DE.A Institute di Franco Mantegazza termina nel 1999, ricordata oggi dai tanti entusiasti e commossi collaboratori che hanno con lui dato sostanza a questa esperienza fatta di umanità, partecipazione e lealtà; protagonisti ai quali dobbiamo un sentito ringraziamento per aver partecipato alla stesura di questi appuntamenti dedicati a due percorsi di una realtà che ha anticipato l’automobile della nostra contemporaneità.
Autore: Federico Signorelli
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