Siamo nel mese di maggio 1962, e un certo Hideo Sugiura ricopre il ruolo di responsabile qualità nella fabbrica Honda di Saitama. Ma in quello che sembrava essere un normale giorno di lavoro simile a tanti altri all’interno dell’azienda fondata dall’appassionato Soichiro Honda insieme al grande amico e collaboratore Takeo Fujisawa il 24 settembre 1948 a Tokyo, si verificò un fatto radicalmente nuovo; una convocazione informale da parte di Yoshihito Kudo, direttore del Centro di ricerca del marchio: “Stiamo valutando l’ipotesi di competere in Formula 1 – gli dice – e vorrei che fossi tu a seguire il progetto”.
Un fulmine a ciel sereno, ben esemplificato dalla naturale quanto spiazzante risposta di Sugiura: “Cos’è la Formula 1? Si, ho visto qualche fotografia, ma non ho idea di cosa sia… dimmi di cosa si tratta”. “Neanche io lo so” – rispose Kudo – “ma non ha importanza: sono tutti principianti all’inizio”.
Questa conversazione ci fornisce due elementi fondamentali per capire bene come iniziò la storia della Honda in Formula 1 che quest’anno, un po’ in sordina, festeggia il 60° anniversario: il primo mostra quando fosse davvero estraneo il concetto di Formula 1 in Honda, al tempo unicamente fabbrica di apprezzate motociclette, il secondo, che il sogno di Soichiro Honda di costruire un’auto da competizione espresso già nel marzo 1954 fosse ben più di questo, ovvero un’obiettivo da realizzare: “Il mio sogno è di diventare un campione del mondo nelle competizioni automobilistiche con una macchina costruita da me”.
Lo stesso Honda ebbe già un’esperienza in questa direzione appena diciottenne, quando come apprendista meccanico presso la rivendita e officina “Art Shokai” si trovò inserito nel team di progettisti e costruttori (e in veste di copilota alla quinta edizione del Japan Automobile Competition) riuniti per realizzare una vettura da corsa motorizzata Curtiss nel 1924, e chiamata Art Curtiss. Forte anche della vittoria assoluta conseguita, da quel momento non smetterà mai di pensare agli sport motoristici.
Aldilà delle evidenti difficoltà ma forti della voglia di riuscire nella realizzazione di questo obiettivo, il progetto della prima Formula 1 giapponese prese il via dalla britannica Cooper-Climax T55, acquistata verso la fine del 1961 dal Centro ricerche Honda, caratterizzata da un motore quattro cilindri, 2,5 litri da 150 CV e telaio spaceframe. Questa base che servì più che altro per “farsi un’idea”, il piccolo team composto inizialmente da tecnici provenienti dalla due ruote si ampliò con l’assunzione di giovani laureati in ingegneria e altri tecnici con esperienza specifica, direttamente rispondenti a Honda.
Il primo vincolo posto proprio da Honda è in riferimento alla potenza che non dovrà essere inferiore a 270 CV, ritenuti necessari per vincere. Così al motore viene assegnata la sigla RA270E. Si inizia a disegnarlo nell’agosto del 1962, per essere pronto ai test dieci mesi più tardi su una vettura base: questo è un V12 di 60° da 1.495 litri con 4 valvole per cilindro, capace di iniziali 210 CV a 11.800 giri/min governati da un cambio a 6 marce. Sistemato in posizione posteriore trasversale è seguito da una selva di scarichi diritti che escono singolarmente da ogni cilindro.
Il 6 febbraio 1964 Soichiro Honda e il vice direttore del Centro ricerche guidano per un paio di giri una dorata vettura che somiglia nelle forme molto alla Cooper-Climax. Un sorridente Honda, come appuntato dagli stessi tecnici, confermò i primi promettenti risultati. Ma la produzione totalmente in Casa della vettura iniziò a creare pericolose interferenze nella produzione di automobili di serie (come la piccola spider Honda Sports 500), così in un primo momento si decise di porsi come fornitori di propulsori ai team europei. L’iniziativa sembrò partire bene con Lotus come partner, ma a motori pronti per la spedizione improvvisamente l’accordo saltò da parte inglese; cosa fare dei motori adesso? Non rimase altra scelta che organizzare una “convivenza” tra le varie produzioni e continuare con lo sviluppo dell’intera vettura.
Gli sforzi si tradussero nella RA271, innovativa monoposto fatta e finita dipinta del caratteristico bianco avorio con un rosso sol levante a campeggiare sull’anteriore. La carrozzeria è realizzata in leggero alluminio, il telaio è di tipo a traliccio in tubi di acciaio e come motore ha il V12 portato a 220 CV a 12.000 giri/min. Dopo una serie di prove sulle piste di Suzuka in Giappone e Zandvoort in Olanda, debutta al Gran Premio di Germania del 1964 sull’insidioso circuito del Nürburgring, probabilmente il meno adatto per far correre una vettura completamente nuova: affidata al pilota americano Ronnie Bucknum a tre giri dalla fine rompe lo sterzo obbligando al ritiro. Nonostante la delusione rimase l’ottimismo, anche se frenato da altri due ritiri, rispettivamente al Gran Premio d’Italia e degli Stati Uniti.
Viene ingaggiato per il 1965 un’altro pilota statunitense, Richie Ginter, messo al volante della migliorata RA272 (230 CV per 300 km/h), ma nonostante l’incessante impegno da parte di Honda i risultati non arrivano. Ma finalmente arriva la prima soddisfazione che riporta energia nel team: al Gran Premio di Città del Messico 1965 l’aria rarefatta causata dall’altitudine mette in difficoltà l’efficienza delle altre vetture, avvantaggiando Honda che invece può vantare un sistema particolarmente efficiente che lo condurrà alla prima vittoria assoluta. Un risultato straordinario se ci pensiamo, considerando che si trattò della prima affermazione mondiale di una monoposto giapponese a soli due anni dal debutto.
La serie “RA” evolverà in cinque anni attraverso le serie 273, 300, 301 e 302 con tecnica sempre diversa, prestazioni crescenti e piloti come John Surtees che porterà nuovamente Honda sul gradino più alto del podio con la RA300 (V12 da 2.991 cc e 420 CV) nel 1967 al Gran Premio d’Italia sul circuito di Monza. L’avventura si chiuderà nel 1968 con il terribile incidente sul circuito francese di Rouen in cui perderà la vita Jo Schlesser al volante della RA302, per poi ripartire nel 1983. Ma questa è un’altra storia.
Autore: Federico Signorelli
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