Sembra una storia molto strano ma è tutto vero: Toyota, Honda e Nissan sono stranamente in fondo alla classifica di un nuovo studio condotto da Greenpeace, che si basa sugli sforzi di 10 case automobilistiche nel decarbonizzare la propria attività produttiva. Il criterio utilizzato in questa classifica, ovvero come “unità di misura”, i progressi compiuti verso l’eliminazione graduale dei motori a combustione interna, nella riduzione delle risorse necessarie e nell’aumento dell’efficienza produttiva ad ogni grado.
Toyota, in particolare, è all’ultimo posto tra i primi 10 produttori di auto per volume di vendite, stesso posto ottenuto l’anno scorso, e Greenpeace ha sottolineato che meno dell’1% delle vetture vendute in totale sono al 100% a zero emissioni. Inoltre sembra che anche la decarbonizzazione della catena di approvvigionamento stia avendo un progresso più lento di quanto era stato previsto dallo stesso piano industriale.
Sembra effettivamente strano che un produttore come Toyota, la più grande al mondo per vendite globali e pioniera delle motorizzazioni ibride ormai da 25 anni, che l’hanno resa per molto tempo beniamina degli ambientalisti, ora sia spesso bersaglio di critiche da parte degli attivisti di Greenpeace. Sta di fatto che Toyota si era già espressa sulla sua volontà di mantenere in vita ancora per anni i motori a combustione, sostenendo che ICE e EV si sostengono a vicenda nelle motorizzazioni ibride, e che per il prossimo futuro rimane la tecnologia migliore per ridurre le emissioni globali e non stravolgere troppo rapidamente la mobilità globale, con tutti gli annessi e connessi.
Daniel Read, responsabile delle campagne per il clima e l’energia di Greenpeace Giappone, ha chiaramente espresso una posizione opposta: “il tempo delle ibride è finito”. Per rispondere a queste critiche, Toyota ha deciso a dicembre di aumentare il proprio obiettivo di vendita annuale di BEV e Fuel Cell da 2 milioni a ben 3,5 milioni di unità entro il 2030, aggiungendo poi recentemente un investimento fino a 730 miliardi di yen, ovvero circa 5 miliardi di euro, in Giappone e USA per la produzione di batterie per veicoli BEV.
Read quindi dovuto correre ai ripari, pur rimanendo sostanzialmente fermo sulla sua posizione: “Riconosciamo che hanno fatto dei passi avanti. Tuttavia, rispetto ad altre case automobilistiche globali, fondamentalmente stanno rimanendo molto indietro.” Benché Toyota abbia dichiarato di voler ridurre drasticamente e rapidamente le emissioni di CO2 con tutti gli sforzi possibili, rimane l’idea che l’elettrico puro sia una soluzione valida ma “non risolutiva” per le necessità di tutti. Tant’è vero che nei piani, oltre ai BEV, si parla anche di “altri multi-powertrain alternativi”.
Le altre giapponesi come Honda e Nissan vedono attestarsi poco sopra: Honda infatti occupa il 9° posto in classifica, subito sopra Toyota, perché secondo Greenpeace il brand non ha una vera e propria tabella di marcia per raggiungere i propri obiettivi ecologici, compreso quello di rendere i veicoli elettrici e a celle a combustibile il 100% delle nuove vendite. Un portavoce del marchio sostiene che la neutralità carbonica verrà raggiunta in ogni caso entro il 2050.
Nissan invece si trova un gradino più in su, all’8° posto, secondo Greenpeace questo avviene per via di una crescita irrisoria nelle vendite di veicoli BEV per il marchio giapponese, che con la Leaf risulta sempre essere avanti coi tempi nel mondo delle auto a batteria. Nissan non ha voluto commentare il rapporto di Greenpeace, ma ha confermato di voler continuare ad accelerare l’elettrificazione con l’obiettivo della neutralità carbonica nei prossimi anni.
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