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Dazi sulle auto cinesi? Come aggirare l’ostacolo

Tempo di lettura: 2 minuti

Case cinesi all’opera per non pagare i futuri possibili extra dazi UE sulle auto elettriche (il 46,3% totale a seconda del Marchio includendo i dazi del 10% che già c’erano).

Gli orientali raddoppieranno la produzione estera di vetture, schizzando da 1,2 milioni di macchine create fuori dalla Cina nel 2023, a 2,7 milioni entro il 2026, come riporta Bloomberg. La legge imposta da Bruxelles nei prossimi mesi prevede che i veicoli Made in China versino le tasse all’Unione europea se venduti in uno dei Paesi membri.

Niente barriere invece qualora le fabbriche siano all’estero, ovunque. Ed è proprio quello che BYD, Chery, Changan, GAC e SAIC faranno ovunque sul globo terracqueo al di fuori della nazione della Grande Muraglia: Turchia, Polonia, Spagna, ma anche Thailandia, Indonesia e Brasile, così come Asia sudorientale e centrale, America Latina e Medio Oriente. Mirando a stampare, saldare, verniciare e assemblare esternamente all’ex Celeste Impero.

Doppio colpo

Il secondo target centrato dalle aziende cinesi con la produzione estera è trovare uno sbocco alternativo al mercato locale, dove la concorrenza è sfrenata, col rischio di sovracapacità. Il rischio, per i tecnocrati UE, è che una norma (a protezione dell’industria del Vecchio Continente e a danno della Cina) diventi un assist formidabile per un ulteriore boom di Pechino a livello globale.

Sarebbe un boomerang micidiale per Bruxelles, impelagatasi in una procedura bizantina. A ottobre 2023, l’UE ha avviato l’indagine sui presunti aiuti del governo cinese alla Case. Ora ci sono le tasse extra, ma provvisorie. La Commissione UE deciderà se renderle definitive l’1 novembre 2024 proseguendo i negoziati con la Cina. Nel frattempo, in un paio di settimane, gli USA hanno piazzato dazi del 100% e la Cina ha già messo le basi per disseminare il pianeta di fabbriche. Una lentezza esasperante, quella europea, che fa sorridere il Partito Comunista Cinese.

Speranze per l’Italia?

Proprio per andare incontro ai desideri dei colossi cinesi, il governo Meloni, nella fattispecie il ministro delle Imprese Adolfo Urso, ha da mesi avviato una serie di colloqui con i giganti della Terra di Mezzo. Obiettivo, sostituire in tutto o in parte Stellantis, costruttore la cui produzione si concentra principalmente fuori dai confini nazionali, così da tutelare occupazione diretta e indotto. Al momento, l’esecutivo non ha in mano nulla, perché i Gruppi orientali stanno alla larga da una nazione soffocata da burocrazia e tasse. Qualcosa di più concreto pareva esserci con Dongfeng, che però ha imposto una sequela di condizioni a favore di se stessa e della Cina per assemblare (neppure costruire) vetture in Italia.

Autore: Mr. Limone

Redazione Autoappassionati.it

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