L’Osservatorio Smart & Connected Cars della School of Management del Politecnico di Milano ha analizzato la mobilità attuale e i trend che riguardano le auto “intelligenti”, delineando i possibili scenari nel breve e nel lungo termine.
Il settore automotive ha tradizionalmente un ruolo fondamentale in tutto il mondo – sia in termini economici che di impatto sociale – ed è nel mezzo di una profonda e rapida trasformazione, che ha tra i temi dominanti la digitalizzazione. I servizi connessi a bordo porteranno nuove opportunità ed esperienze per tutti gli utenti, i sistemi di assistenza alla guida continueranno a migliorare la sicurezza e si apriranno parallelamente nuove possibilità di uso condiviso del mezzo. A questi grandi cambiamenti si aggiunge anche la transizione verso le propulsioni elettriche, che avanza a grandi passi aprendo nuovi scenari.
Proprio dal bisogno di conoscere e raccontare questi temi è nato l’Osservatorio Smart & Connected Cars, promosso dalla School of Management del Politecnico di Milano, con lo scopo di analizzare i fenomeni che riguardano l’auto intelligente nella loro fase di sviluppo e comprendere le reazioni dei consumatori e del mercato. I risultati di queste analisi sono stati riassunti nello studio “Connected Car & Mobility: un nuovo inizio”.
Nel 2019 il mercato italiano delle Connected Car è cresciuto del 14%, raggiungendo un valore complessivo pari a 1,2 miliardi di Euro: i veicoli connessi a fine anno erano infatti 16,7 milioni, ossia il 42% del parco circolante. Il 63% di questi (10,5 milioni) ha installato a bordo una cosiddetta “scatola nera” (box GPS/GPRS) che localizza il veicolo e registra i parametri di guida per fini assicurativi. Ma ad avere fatto segnare un maggior incremento sono le auto che nascono già connesse grazie alla SIM integrata a bordo (+47%, 2,2 milioni di unità) oppure grazie ai sistemi Bluetooth (+33%, 4 milioni di unità).
Nei prossimi anni, il mercato delle auto connesse è destinato a crescere, sia in Italia che a livello internazionale, grazie anche alla eCall – la chiamata automatica di emergenza – obbligatoria da marzo 2018, e alla prossima entrata in vigore, prevista per luglio 2022, della normativa europea che impone come equipaggiamenti di serie, per le vetture nuove, sistemi di assistenza alla guida quali la frenata automatica di emergenza e il dispositivo per il mantenimento di corsia.
Una delle caratteristiche delle auto connesse è quella di generare una considerevole quantità di dati, che possono essere usati per creare valore tanto per gli utenti privati quanto per le aziende. Servizi come la manutenzione predittiva basata sul monitoraggio dello stato di usura dei componenti, la possibilità di ordinare cibo o prenotare un ristorante direttamente dall’auto, la regolazione della temperatura dell’abitacolo da remoto ancora prima di salire, sono solo alcune delle opportunità che le connected car possono offrire.
Le tecnologie finiscono per influenzare anche i modelli di business, che virano verso servizi di sharing o di pay per use, ad esempio variando il costo del canone mensile di noleggio del veicolo a seconda dell’effettivo utilizzo.
Parallelamente, il crescente peso della componentistica elettronica installata a bordo – sia a livello qualitativo che quantitativo – porta sempre più le Case automobilistiche, incluso il Gruppo Volkswagen, a stringere partnership strategiche e acquisire start-up innovative, aumentando la loro presenza nella Silicon Valley e aprendo centri di ricerca orientati al digitale dove attrarre i migliori talenti specializzati nelle nuove tecnologie.
I sistemi di assistenza alla guida (ADAS) sono tra le tecnologie smart più presenti e apprezzate dagli utenti, e la loro integrazione nei modelli di nuova omologazione avrà effetti positivi – sul numero e sulle conseguenze degli incidenti stradali – che inizieranno a essere evidenti nei prossimi anni.
Si stima infatti che con una larga diffusione di sistemi di sicurezza ad ampio spettro come i già citati frenata automatica di emergenza e mantenimento di corsia ed altri dispositivi che consentono il controllo della velocità, dell’avvicinamento a un altro veicolo o il monitoraggio dell’angolo cieco, la riduzione dei sinistri e dei feriti potrebbe andare dal 28 al 31% su base annua, con un risparmio economico complessivo di 3,3 miliardi di Euro ogni anno.
Attualmente la mobilità personale è caratterizzata da quattro aspetti fondamentali: veicoli capaci di trasportare 4/5 persone, alimentati con carburanti fossili, di proprietà individuale e guidati da persone in carne e ossa. Tra 20 o 30 anni, lo scenario descritto dal team del Politecnico di Milano sarà completamente diverso: i veicoli saranno più piccoli, saranno alimentati dall’elettricità, avranno una proprietà condivisa e la guida autonoma.
Tra tutte queste caratteristiche la più dirompente sarà l’ultima, che porterà alla diffusione di massa dei robotaxi (o taxi a guida autonoma). Non ne serviranno molti per rispondere alle reali esigenze di mobilità degli utenti, visto che l’utilizzo contemporaneo delle auto private non supera normalmente il 10%, ma dovranno essere progettati per poter percorrere un numero maggiore di chilometri complessivi e integrare tecnologie avanzatissime.
Per passare dal livello 3 di guida autonoma, attualmente già disponibile su alcuni modelli del Gruppo Volkswagen, ai successivi 4 e 5, le automobili dovranno essere in grado di dialogare in modo massiccio con le infrastrutture che le circondano, per non basare la propria navigazione esclusivamente sui sensori installati a bordo, i cosiddetti “ego-sensors”.
A questo proposito saranno fondamentali le connessioni V2X, attraverso cui i veicoli potranno condividere in tempo reale i dati generati dai sensori di bordo, ampliando le possibilità di percezione oltre il proprio campo visivo. Lo scambio di dati continuo tra i sistemi di controllo permetterà loro di coordinarsi e sincronizzarsi autonomamente, anche in scenari complessi ad alta densità di traffico, rendendo così la mobilità sempre più sicura, sostenibile ed efficiente.
Le connessioni V2X richiedono il supporto di una rete di comunicazione per connettere i veicoli tra di loro, con le infrastrutture e con gli altri utenti della strada. Le tecnologie attualmente disponibili sfruttano lo standard ETSI ITS-G5 (basato su WiFi) e la tecnologia cellulare C-V2X (attualmente basata sulle reti 4G ma in evoluzione verso il 5G). Le prestazioni attuali, però, non bastano per abilitare servizi come la guida cooperativa coordinata, la guida remota e l’estensione dei sensori. Per questo sarà necessario attendere un ulteriore step tecnologico.
I temi legati alla connettività stradale e alla mobilità smart prendono sempre più piede in Italia e sono molti gli esempi di istituzioni e progetti che si muovono in questa direzione. Entro il 2030, ad esempio, l’Anas intende trasformare 3.000 km di strade italiane in SmartRoad, per permettere ai veicoli che le percorrono di dialogare tra loro e con le infrastrutture. Alla fine del 2019, il 36% dei comuni italiani con oltre 25.000 abitanti aveva avviato almeno un progetto di SmartMobility nei tre anni precedenti, mentre un altro 39% lo aveva già fatto prima del 2017.
Se invece si considerano i comuni con più di 80.000 abitanti, solo il 9% non ha ancora avviato progetti legati alla SmartMobility. Il 58% delle iniziative ha superato la fase di sperimentazione per essere estesa a tutta l’area urbana e in molti casi si tratta di progetti con un buon livello di innovazione, grazie all’uso combinato dell’Internet of Things e dell’Intelligenza Artificiale.
I principali obiettivi di tutti questi progetti sono la sostenibilità ambientale (28%), il miglioramento dei servizi esistenti (24%), la sicurezza stradale (14%), i nuovi servizi per i cittadini (12%) e l’innovazione pura (5%), mentre le applicazioni al momento più diffuse nei comuni riguardano la mobilità elettrica (21%), i servizi di sharing (18%), la gestione dei parcheggi (16%) e quella del traffico (14%).
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