Un’automobile iconica che ha davvero fatto la storia, rivoluzionando il mondo del car design e non solo: Lancia Aprilia e FIAT 1500C sono indirette figlie sue, come ogni prodotto che si è lanciato nel mondo dell’aerodinamica.
La creatura fondata da Walter Percy Chrysler vede la luce il 6 giugno 1925 ad Highland Park nei sobborghi della febbrile Detroit dell’automobile con il nome di “Chrysler Corporation”. L’intento è quello di sfidare i lussuosi prodotti Lincoln (Ford) e Buick (General Motors), adottando la strategia di ampliamento e diversificazione della gamma attraverso marchi, modelli e allestimenti; tale organizzazione lancia Chrysler tra le “Big Three”, con General Motors e Ford.
In breve tempo fonda nel 1928 i marchi Plymouth, con l’intento di proporre modelli a basso costo (concorrenti di Ford e Chevrolet) e DeSoto, in concorrenza con i medio/alti Pontiac e Oldsmobile; lo stesso anno acquisisce Dodge per i modelli di costo medio/basso. Ben presto, però, anche il vulcanico “nuovo arrivato” deve vedersela con la crisi economica generata dal “martedì nero di Wall Street” del 1929.
Dopo la crisi, il marchio vuole ritornare nel cuore (e nel portafogli) dei suoi clienti con un prodotto completamente nuovo, affascinante, capace di stupire facendosi portatore di una rinnovata fiducia nel futuro: è su questa base che prende quota il progetto Chrysler Airflow.
Già dal 1930, gli ingegneri Owen Skelton, Carl Breer e Fred Zeder, soprannominati i “Tre Moschettieri”, stavano conducendo dei test nella galleria del vento con la collaborazione di un certo Orville Wright (uno dei fratelli Wright pionieri del volo) per scoprire quale potesse essere la forma più efficiente da applicare al design automobilistico. Va da se che l’ispirazione venne dal mondo aeronautico e si inseriva in quel lungo filone di sperimentazione nato in Europa ad opera dell’ingegnere aeronautico Paul Jaray fin dal 1922.
Il design delle automobili di allora chiamato “two box” era inefficiente sia dal punto di vista aerodinamico che di sicurezza: con la loro forma “a scatola” queste distribuivano il peso circa al 65% sulle ruote posteriori, per cui quando venivano caricate con i passeggeri la distribuzione si sbilanciava ulteriormente salendo al 75% con conseguente peggioramento in termini di maneggevolezza, e quindi sicurezza alla guida. Il gruppo di tecnici capì quanto si potesse imparare dal mondo aeronautico anche in fatto di costruzione di automobili: si decise che la nuova nata doveva attingere a piene mani dai risultati di queste sperimentazioni, rendendo la linea aerodinamica e il telaio a scocca portante, elementi caratterizzanti e propositivi.
Se la linea aerodinamica migliorava l’efficienza generale della vettura, l’adozione del telaio a scocca portante consentiva di abbassare la vettura a tutto vantaggio dell’aerodinamica, la maneggevolezza (distribuzione dei pesi) e l’ingresso dei passeggeri. Il motore venne spostato sopra le ruote anteriori (leggermente arretrato), i passeggeri anteriori in avanti di modo che quelli posteriori fossero seduti all’interno del passo piuttosto che sopra l’asse posteriore; scelte di fino che definirono un’abitacolo estremamente ampio e una distribuzione del peso quasi al 50/50.
Carl Breer tracciò e modellò molti modellini in scala prima di arrivare alla soluzione finale, tutti testati in galleria del vento, cercando la quadra tra efficienza, tecnica e stile spingendo sull’innovazione. L’obiettivo era sconvolgere positivamente il mercato e la concorrenza.
Breer disegnò una vettura dall’aspetto unico e inconfondibile: all’anteriore i fari sono completamente carenati e inquadrano la scintillante griglia a cascata (in pieno stile Decò dell’epoca) composta da barrette verticali che seguono il profilo perfettamente curvo e continuo del cofano, il parabrezza è diviso in due sezioni inclinate (come sugli aerei) ripetendosi nel lunotto e si raccorda con una curva al padiglione che scende dolcemente verso il posteriore senza interruzione carenando le ruote. Non di secondo piano gli iconici trittici degli sfoghi d’aria laterali e i fregi sulle carenature posteriori, piccoli tocchi di stile che renderanno l’intero progetto della Airflow icona del periodo e capolavoro del design automobilistico Decò.
Presentata al New York Auto Show del 1934 la Chrysler Airflow (flusso d’aria) venne apprezzata portando oltre 18.000 ordini, offerta con motore V8 da 4,9 litri e 122 CV (poi anche 5,7 da 140 CV). Ma improvvisamente una débâcle: problemi di produzione, ritardi e difetti nelle prime auto, danneggiarono le vendite, insieme al pregiudizio sull’aspetto valutato come troppo radicale. Venne venduta anche con il meno costoso marchio DeSoto in una particolare versione Coupé e ristilizzata più volte specie all’anteriore negli anni successivi, ma nel 1937 con soli 55.000 esemplari finì l’intera breve carriera di un’idea che farà scuola.
Autore: Federico Signorelli
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