Per raggiungere l’obiettivo di un milione di veicoli l’anno prodotto in Italia entro il 2030, il governo Meloni è in trattative sia con Stellantis sia con varie Case cinesi. Che potrebbero costruire qui in Italia, aggirando gli extra dazi UE, col nostro Paese che farebbe da trampolino di lancio per il Vecchio Continente.
È la logica con cui BYD sta investendo e produrrà auto in Ungheria e SAIC (MG) in Spagna. Ma l’esecutivo, che pare abbia avviato discorsi più seri con la cinese Dongfeng, chiede garanzie al futuro costruttore orientale disposto a venire da noi a sfornare macchine. In cambio, la società di Wuhan avrebbe anche la possibilità di accedere a non meglio precisati incentivi pubblici.
Anzitutto, a livello di cybersecurity Roma avrebbe chiesto a Dongfeng di accettare tutele sulla sicurezza informatica. Tradotto: i componenti come i sistemi di infotainment dovranno essere forniti da aziende locali. Così che nessuna società estera, entrando in Italia col Cavallo di Troia della tecnologia, minacci la sicurezza nazionale. È una questione posta più volte dagli Stati Uniti nei confronti dei cinesi
Secondo punto chiave: raccolta e gestione dei dati dei consumatori dovranno avvenire solo in Italia. Nessuna informazione sensibile “regalata” all’estero sulle abitudini di chi si mette al volante nel Belpaese: destinazioni, trend, tipo di spesa.
Alla fine, se il governo Meloni detta le condizioni a Dongfeng o a qualsiasi altro costruttore cinese, è per due motivi: si desidera riaffermare la piena sovranità della nazione e si vuole dare spazio ai fornitori italiani di beni e servizi. Il target è che la transizione elettrica attraverso una o più Case cinesi siano un’occasione d’oro per la moltitudine di aziende nostrane, un tempo richiestissime quando le auto con motore termico andavano a mille.
Ci sarebbe una percentuale: Dongfeng o chi per essa dovrebbe comprare da aziende italiana come minimo il 45% della componentistica necessaria per ogni auto prodotta nella nostra nazione.
Autore: Mr. Limone
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