Ancora una video-bravata, stavolta a Napoli, dove un ragazzo ha seriamente rischiato la vita dopo essere salito sul tetto di un’auto mentre andava a 130 km/h. Il video di questo “car surfing” sta facendo il giro del web e, al posto di ricevere quella miriade di like sperati, ha incassato prettamente messaggi e commenti di condanna.
Le bravate sul web rappresentano una piaga da contrastare, perché ormai sta diventando un triste fenomeno senza controllo. Stavolta il video di una bravata che poteva costare la vita è stato girato a Napoli. Si tratta di una folle sfida alla quale hanno preso parte dei ragazzi della periferia partenopea, dove un nuovo trend pericoloso sta spopolando sui social network: il car surfing. Consiste nel salire sul tetto delle auto in movimento e filmarsi mentre si compiono acrobazie ad alta velocità, una sfida folle capace di mettere a repentaglio la vita di chi si cimenta in questa challenge e che, malauguratamente, sta riscontrando un insano successo.
Il car surfing è nato negli Stati Uniti, dove sono stati segnalati diversi casi di incidenti mortali causati da questa pratica irresponsabile, a spiccare è stato quanto accaduti in Florida, dove un ragazzo di 16 anni è caduto dal tetto di un’auto che viaggiava a 80 km/h ed ha riportato gravi lesioni al cranio. Questa moda è arrivata anche in Italia dove si moltiplicano gli avvistamenti di ragazzi aggrappati ai tetti delle loro auto ad alta velocità, l’ultimo appunto in quel di Napoli, reso pubblico grazie al parlamentare Francesco Emilio Borrelli che ha diffuso nelle scorse sui social il filmato in cui si vede un ragazzo aggrappato al tetto di una vettura che in quel momento andava a quasi 130 Km/h.
Lo scenario della bravata risalirebbe a due sere fa e sarebbe stato girato ad Agnano, un quartiere di Napoli, dove il giovane sembra essere stato legato in una qualche maniera al tetto di una vecchia Ford Focus. La scena viene ripresa con gli smartphone sia dalla stessa auto a cui è aggrappato il giovane sia da un’altra nei pressi. Messaggi e commenti di condanna non mancano, ma serve ben altro per contrastare questi avvenimenti.
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