Cagiva Mito: bellissima, ma l’SP è un’altra cosa…

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Si fa presto a dire Sport Production. Si pensa alla moto di serie col motore un po’ più compresso, con l’espansione, sospensioni un più evolute e due belle gomme ‘racing’. In effetti lo scopo delle categorie promozionali è questo, permettere a tutti di poter competere ad armi pari, o quasi, con gli avversari.

Poi però subentrano i soliti interessi commerciali: negli anni ’90 il mercato ‘tirava’ e la pubblicità che derivava dalle vittorie nella Sport Production poteva influenzare in modo sensibile le vendite. Specie nella classe 125 dove, oltretutto, l’offerta era totalmente italiana, con Aprilia, Cagiva, Gilera e Honda (anch’essa ‘made in Italy’) che si giocavano la vittoria e cercavano di accaparrarsi le migliore ‘promesse’ tra i piloti più giovani.

Tutte queste Case erano coinvolte in categorie ben più libere, dove l’esperienza acquisita poteva essere molto utile anche sulle Sport Production.

Basti pensare a Honda e Aprilia, impegnate nel mondiale 125 o alla Cagiva che sulla sua 500 quattro cilindri utilizzava quattro gruppi termici 125… E fu proprio la Casa varesina che prese estremamente sul serio la 125 Sport Production, al punto da allestire una piccola serie di moto ‘ufficiali’ che pur restando nei limiti consentiti dal regolamento, erano davvero un gradino sopra le avversarie e le stesse versioni SP della Mito destinate ai concessionari.

Cagiva
Lo sponsor Lucky Explorer diede un grosso contributo all’attività sportiva della Cagiva, ma non poteva essere utilizzato sulla GP poiché legato alla Suzuki di Schwantz. La livrea bianca, rossa, verde e nera apparì infatti solo sulle moto della Parigi-Dakar e sulle Mito SP.
Non tutte le Sport Production sono uguali…

Michele Prontelli, meglio noto come ‘Ceppa’ è riuscito a ricreare una di quelle Cagiva Mito SP: “Di queste moto ne furono assemblate 24, tutte nell’anno 1995. Quella che vedi è stata ricostruita con un lungo lavoro utilizzando tutti i componenti speciali utilizzati all’epoca, alcuni già presenti sulla moto da me ritrovata, una di quelle 24, altri recuperati con non poca fatica in giro per l’Italia perché con gli anni ‘cannibalizzati’ e utilizzati magari come ricambi per qualche cliente rimasto a piedi. Possiamo dire che queste moto erano figlie della Mito che nel 2004 vinse il campionato italiano SP con Valentino Rossi”.

In effetti quell’anno segnò anche un calo dell’impegno della Casa varesina per le corse e questo, di conseguenza coinvolse anche l’attività di sviluppo delle Mito che fu deciso di produrre in piccola serie appoggiandosi a un Team esterno, gestito da Claudio Lusuardi.

Moto varesina, tecnico modenese

Il pilota-tecnico modenese vantava una grande esperienza sui motori a due tempi, essendo stato egli stesso costruttore delle moto da GP di 50 e 80 cc che portò con successo nel campionato italiano e anche nel mondiale.

Uno scambio di esperienze reciproche tra Modena e Varese che portò a realizzare la più evoluta 125 derivata da un prodotto stradale dell’epoca: circa 35 CV ‘veri’ e oltre 200 orari cronometrati a Monza (Bulega fece i 207)! Lusuardi è stato un aiuto indispensabile per completare la moto del servizio, e Prontelli vuole ringraziare pubblicamente Claudio per l’aiuto datogli, in termini di pezzi mancanti, consigli d esperienza: “Non lo batte nessuno. Di questi motori sa vita, morte e miracoli!”.

Le modifiche
La forcella era caratterizzata dalla finitura oro dei foderi ma, fattore più importante, aveva doppie molle e idraulica regolabile. Sulle moto ufficiali la messa a punto fu fatta da Andreani.

Pur restando una Cagiva Mito, le modifiche che troviamo su questa moto sono davvero tante e tutte fondamentali. Partendo dalla ciclistica ci sono cerchi Marchesini a tre razze, più leggeri degli originali, il posteriore con canale da 3.5″ (ma qualcuno utilizzava anche altre misure per migliorare il profilo del pneumatico 150/60) e l’anteriore da 2.75″ con pneumatico 110/70. Questo era già un notevole vantaggio per il lavoro delle sospensioni, cui erano vincolate masse non sospese sensibilmente inferiori.

Telaio e sospensioni

A differenza del telaio, che ha mantenuto struttura e quote dell’originale stradale, peraltro ottime, le sospensioni sono comunque state sensibilmente migliorate: in origine la forcella rovesciata con steli da 40 mm ed escursione 120 mm aveva la molla in uno stelo e l’idraulica nell’altro, soluzione funzionale ed economica; in questo caso le molle sono state raddoppiate e idem l’idraulica, con possibilità di regolazione una volta rimossi i tappi superiori dei foderi.

Per la taratura, Lusuardi si era rivolto ad Andreani che all’epoca partner di Cagiva anche per la 500 GP. Il mono posteriore, in origine un componente economico e privo di regolazioni idrauliche, è stato sostituito da un elemento realizzato dalla G.C.B. (Gazzaniga, Ceriani e Bianchi) e completamente regolabile.

La tipica struttura del telaio coi grandi e rigidi travi estrusi di alluminio coi p del motore saldati.

“Sul telaio”, ci ha detto Prontelli, “non sono intervenuti, essendo già molto valido e figlio dell’esperienza nei GP.  Rispetto all’Aprilia, quello della Mito è un po’ più rigido specie nella parte anteriore, con le due travi estruse e nervate all’interno. Un po’ come capita ora sulla MV F4 che abbina una parte anteriore a traliccio molto rigida a quella centrale, dove c’è il perno forcellone, in alluminio e più flessibile. La ciclistica della Cagiva Mito dà grande soddisfazione, è molto sincera ma va guidata in un certo modo e basta. Quella dell’Aprilia è invece un po’ versatile e si adatta meglio a più stili di guida”.

I cerchi sono dei Marchesini a tre razze, più leggeri degli originali.
Motore

Nel motore una differenza sostanziale risiede nell’accensione; l’originale Kokusan a scarica capacitiva è infatti sostituita da una centralina Ducati Energia a rotore interno (più leggero e che eroga 100W anziché 120W) con anticipo variabile e diverse mappature fornite con diversi moduli pre-programmati.

La Ducati Energia ingloba anche la centralina di controllo della valvola allo scarico, prima separata. Questa modifica richiede un albero specifico predisposto per il diverso sistema di calettamento del rotore (senza conicità). Mantiene il regolatore di tensione perché, per regolamento, l’impianto elettrico doveva essere funzionante.

La voluminosa espansione ‘intonata’ alla distribuzione e al rapporto di compressione (per regolamento non superiore a 13,5:1).
La moto di Dellino all’interno dei box del Mugello.

“A tale proposito ricordo un episodio accaduto a Dellino, proprio l’anno in cui Rossi vinse il titolo. Gli si scollegò il regolatore dell’accensione, la batteria non si caricò e l’impianto, alla verifica post gara non risultò funzionante. E fu squalificato…”. A parte l’impianto funzionante, il regolamento prevedeva il gruppo termico originale (ma senza limiti per le luci e quindi, potendo partire da componenti grezzi, la Casa aveva grandi possibilità di intervento), rapporto di compressione 13,5:1 e carburatore Dell’Orto da 28 mm per tutti; peso minimo 115 kg (anche se correva voce che qualcuno fosse sotto limite e dovesse addirittura zavorrare la moto…) e impianto di scarico libero.

Testa e cilindro derivano direttamente dall’esperienza acquisita con il 500 GP. Il pistone è un Mahle forgiato mono segmento, col mantello più basso e notevolmente più leggero e robusto dell’originale. La luce di scarico, originariamente con gli angoli arrotondati è più squadrata e diversa la conformazione dei canali e delle luci di travaso; diversa anche la valvola  parzializzatrice dello scarico.

Per quanto riguarda l’aspirazione, per questa versione fu realizzato un airbox specifico. “Il privato con una Mito SP di fronte a questa moto poteva fare ben poco, anche se aveva manico…!”, ci dice Michele mostrandoci i pezzi speciali. “Il regolamento prevedeva un carburatore da 28 mm uguale per tutti e poi si vedono cilindri che sembrano quelli di una GP. Un assurdo, sotto certi aspetti”.

Cambio e trasmissione

Il cambio restava a sette rapporti, ma aveva la prima lunga, più adatta all’uso in pista.

La corona è una Chiaravalli in lega speciale.

La trasmissione finale, alleggerita, fu realizzata su specifica Cagiva: la corona in lega speciale Chiaravalli era leggera e più resistente all’usura mentre la catena Regina anziché da 5/8″ era 1/2″, più leggera e scorrevole. Quando i valori di potenza sono questi anche le frazioni di CV perse in attrito sono importanti, così come il peso.

Introvabili

Nel 1997 finì l’impegno diretto della Cagiva, ma l’attività di sviluppo fu proseguita ancora per qualche anno da Walter Villa, il quattro volte campione del mondo che, come molti sanno, era anche un grande tecnico sui motori a due tempi.

Queste 24 Mito SP non sono identificabili, poiché i numeri di telaio sono inseriti tra quelli delle moto di serie. Oltre a questo, sono moto che hanno avuto una vita dura e se sopravvissute, non erano certo fresche. Il loro valore storico, vent’anni fa non era minimamente ipotizzabile e sono state oggetto di prelievo di pezzi per mantenere altre moto o addirittura rottamate.

Se si ha la fortuna di trovarne una, ci dovrebbero essere le punzonature dei commissari di gara, poiché sono state sicuramente utilizzate in gara. “La mia è appartenuta al pilota siciliano Giovanni Greco che ci ha corso nel 1995 e poi è rimasta ferma per vent’anni”, conclude Prontelli. “Su questa moto ci ha corso anche Sebastiano Zerbo, che ha vinto a Pergusa una prova del Trofeo del Sud”.

L’ha provata anche Max Temporali

“Una bella esperienza”, ha detto Max Temporali appena sceso dalla moto. “Si fa fatica perché è piccolina e devi sempre stare dentro. Ha una bella coppia sotto. Rispetto alla ia dell’epoca è meglio. La mia ebbe un motore così solo un paio di volte… Anche ai bassi riesci a gestirla. Arriva a 12.000. Proprio divertente. Mi è proprio piaciuta tanto. Forse oggi sono un po’ più pesantino di qualche anno fa. Dovrei tarare diversamente le sospensioni”. Temporali ha girato anche coi ragazzini e ha avuto modo di vederli all’opera. “In generale devo dire che devono lasciarla scorrere un po’ di più, arrivano sotto le curve scalando più marce del necessario. Ai tempi ogni volta che pelavi il gas rischiavi il grippaggio. Mi dicevano sempre o tutto chiuso o tutto aperto… e allora mi adeguo”.

Franco Daudo

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Franco Daudo

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