Che epoca, gli anni ’80, in cui nessuno aveva il timore di osare o sperimentare. Sia nell’abbigliamento che nella musica, e pure nelle auto.
Lo dimostra il progetto Goldfish di BMW (in italiano significa Pesce rosso), che nel 1987 iniziò a sviluppare un motore aspirato con 16 cilindri e allestì per lo scopo un esemplare dell’ammiraglia Serie 7, tornato d’attualità grazie ad un post sulla pagina Facebook di BMW Classic, la divisione che si occupa delle auto storiche o del passato per la casa bavarese. Nasce così la BMW Serie 7 V16.
Gli ingombri decisamente generosi e gli altissimi costi di sviluppo hanno reso il motore a 16 cilindri una rarità fra le auto del presente e anche del passato, tanto è vero che solo pochi marchi hanno avuto l’ardire di metterlo in vendita: fra questi si ricordano soprattutto Bugatti, che lo utilizza tutt’ora per la hypercar Chiron, e Cadillac, per la quale i 16 cilindri furono l’elemento di spicco della berlina di lusso V-16 del 1930. BMW, consapevole delle difficoltà di un progetto così ambizioso, scelse un approccio più “soft” al motore V16, perché sviluppò il 6.7 a partire dal già esistente V12 di 5.0 litri.
Il 6.7 e il 5.0 infatti erano molto simili tecnicamente, perché condividevano le stesse misure di alesaggio e corsa (84 x 75 mm), il diametro dei cilindri (91 mm) e pure il rapporto di compressione (8.8:1). Il 5.0 però non superava i 299 CV e 450 Nm, mentre la BMW Serie 7 V16 arrivava ad erogare 408 CV e 613 Nm, valori che compensavano il peso di ben 310 kg. BMW installò questo “colosso” dentro una Serie 7 a passo lungo, modificata nelle fiancate e al posteriore per favorire il raffreddamento del 6.7. Il V16 non entrò mai in produzione, ma rappresenta tutt’oggi un grande esempio di ingegneria e coraggio automobilistico.
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