Storiche

Becchia: la firma italiana sul motore della Citroen 2CV

Tempo di lettura: 3 minuti

Il papà che lasciò l’autografo di stampo italiano sul motore della Citroen 2CV, vi ricordate il suo nome?

La Citroen 2CV si riconosce per …?

Cosa fa di una 2CV una 2CV? La domanda sembra retorica ma la risposta è tutt’altro che ovvia: dobbiamo cercare quegli elementi che hanno caratterizzato la piccola Citroen 2CV nei suoi quarantadue anni di produzione. Ci vengono allora in mente

  • le sospensioni morbide a grande escursione, pensate per viaggiare anche dove la strada non c’è
  • il grande tetto in tela che spazia dal parabrezza al lunotto posteriore, che con pochi gesti inonda l’abitacolo di luce e trasforma la berlina in cabriolet
  • e ancora gli originali fari anteriori che, associati alla forma dell’abitacolo, trasformano (agli occhi dei bambini) la Citroen 2CV in una grande “lumaca di latta
  • infine il rumore del motore, inconfondibile e indimenticabile per chiunque ne abbia posseduta una

Quel motore è un piccolo capolavoro di ingegneria dovuto alle capacità di un italiano. Oltre al design della 2CV, merito dello stilista Flaminio Bertoni, anche il motore è frutto dell’opera di un tecnico arrivato dal Bel Paese: Walter Becchia.

Lefebvre e l’incarico a Becchia

Becchia emigrò giovanissimo per la scarsa simpatia che provava per il regime italiano dell’epoca, trovando lavoro alla Talbot-Lago, dove ebbe modo di misurarsi con i complessi motori prestanti delle eleganti vetture sportive prodotte a quei tempi dal marchio Talbot. Notato dai vertici di Citroen, fu invitato a trasferirsi al quai de Javel già nel 1939, ma solo nel 1941 accettò l’incarico e fu assunto al Double Chevron.

Tra le ragioni che portarono all’ingaggio di Walter Becchia, c’era la necessità di dare un motore alla futura 2CV: per quella che ancora si chiamava TPV (Toute Petite Voiture), André Lefebvre aveva richiesto un bicilindrico con architettura “boxer”, ovvero con cilindri orizzontali contrapposti, schema che garantiva un ottimo bilanciamento, riducendo in misura consistente le vibrazioni tipiche dei motori poco “frazionati”, ovvero quelli con un ridotto numero di cilindri.

La TPV aveva già quindi il suo motore, boxer, di circa 350cc, raffreddato ad acqua e montato in blocco con cambio e differenziale. A Becchia il compito di migliorarlo per consumi, affidabilità e potenza.

Dalla BMW R12 alla Citroen 2CV

Becchia iniziò a lavorare in clandestinità, poiché che durante l’occupazione tedesca di Parigi a Citroan era vietata ogni attività che non fosse quella di costruire e riparare camion e motrici. Ma la svolta arrivò solo quando ebbe modo di mettere le mani sul relitto della moto personale di Flaminio Bertoni: una BMW R12 con cui lo stilista, nel 1940, aveva avuto un grave incidente.

Becchia smontò il motore, un boxer bicilindrico raffreddato ad aria, e ne esaminò con cura le parti valutando pregi e difetti di quell’architettura. Prese spunto della tecnica di raffreddamento ma ritenne che i cinematismi fossero inadatti alla mole di una pur leggera autovettura e preferì progettarlo da zero, mantenendo la formula dell’asse a camme centrale dove inizialmente calettò anche la dinamo, oltre al distributore con le puntine d’accensione.

Una bobina a doppio effetto faceva scattare la scintilla contemporaneamente in tutti e due i cilindri ad ogni mezza rotazione del motore, semplificando così anche il sistema d’accensione, riducendo le componenti e le possibilità di guasto.

Un motore continuamente perfezionato e “multi-uso”

Dopo la liberazione da parte degli Alleati, Bertoni ha vissuto una vicenda di arresto a causa della cittadinanza. Il motore fu pronto per la seconda metà del 1945, anche se i perfezionamenti proseguirono fino al 1948 (anno di lancio della vettura), incessantemente fino alla fine della produzione nel ‘90.

Il motore “tipo A” di Walter Becchia era un 375cc, capace di erogare 9 cavalli di potenza a 3500 giri, sufficienti per raggiungere i sessanta chilometri orari richiesti dal capitolato della 2CV, consumando circa tre litri di benzina ogni cento chilometri. Successivamente la cilindrata passò a 425cc, con potenze variabili tra i 12 ed i 18 cavalli, fino all’apparizione di un motore completamente riprogettato, nel 1970, disponibile in due varianti da 425cc e 602cc, con potenze comprese tra i 26 ed i 29 cavalli capaci di raggiungere quasi 120 km/h.

Parco ed affidabile, il bicilindrico Citroen progettato da Walter Becchia animò anche altre creature del Double Chevron, come le AMI, la Méhari, la Dyane e tutte le altre “derivate” della 2CV, ma fu utilizzato anche a bordi di altri veicoli: dai deltaplani ai mezzi militari a sei ruote della Poncin.

Simone Arnulfo

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Simone Arnulfo
Tag: 2CVCitroen

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