Mentre a Imola si sono aperti i cancelli del Ayrton Day (sito ufficiale), noi vogliamo concentrarci sulla ricorrenza che celebra il 25esimo anniversario dalla scomparsa del campione brasiliano. Alle 14:17 del 1 maggio 1994, l’evento che ha cambiato per sempre il mondo della Formula 1. Un vero e proprio prima e dopo per il circus, in meglio per la sicurezza dei circuiti e delle monoposto, in peggio per la ferita che batte ancora forte nonostante sia ormai passato un quarto di secolo.
Quel weekend, come tutti gli appassionati sanno bene, fu stregato. Il venerdì l’incidente di Barrichello, risoltosi fortunatamente, aspetto che mancò a Roland Raztenberger e Ayrton, senza gravi conseguenze. Il sabato, invece, un botto fortissimo alla Villeneuve, e l’austriaco, alla sua terza gara in F1, che vola via senza alcuna speranza di salvarsi.
Si arriva a domenica e alcuni piloti non vogliono correre. Ayrton era uno di questi, ma Sid Watkins, il medico che poche ore dopo avrebbe assistito ai suoi ultimi attimi di vita terrena, lo convinse a partecipare e con lui tutto il resto del carrozzone. Si sa, anche, che Senna corse quella gara con una bandiera austriaca in abitacolo, bandiera che avrebbe esibito in caso di vittoria.
Vittoria non fu: per la conclamata rottura del piantone dello sterzo accertata in sede giuridica, lo schianto al Tamburello, già sede degli incidenti di Berger e Piquet scesi con le loro gambe dalle monoposto. Ayrton frena, scala marcia, ma l’angolo di impatto, quando si dice la fortuna, provoca il distacco repentino del puntone della sospensione che finisce, fatalmente, sulla visiera del pilota e da lì, con la velocità di un proiettile, nella sua testa.
Danni estesi, la corsa in ospedale, nessuno che sul momento, almeno dalle tribune, si rende conto della gravità dell’accaduto. Quel sangue, per terra, agghiacciante, segno degli oltre 18 litri di sangue trasfusi al pilota, mentre l’elicottero atterra in pista per tentare l’impossibile. Poi, alle 18:34 di quel 1 maggio, la comunicazione dall’Ospedale Maggiore di Bologna: Ayrton Senna, the Magic, è morto.
25 anni fa che, per chi li ha vissuti con i suoi occhi, alla radio, davanti a una TV, hanno ancora un sapore che fa male, e che farà sempre male. Chi scrive era troppo piccolo per ricordare ma, pur non avendo mai visto Ayrton correre in pista, viene percosso da un brivido lungo la schiena quando mi capitano sotto gli occhi quelle immagini, quando si ripensa a quei momenti mai vissuti, se non con gli occhi di un inconsapevole bambino.
Uomini, eroi, che ogni due settimane sfidano il loro destino per andare il più forte possibile. A parte il tragico incidente di Jules Bianchi, anche qui per una serie di concause che a ripensarci fanno venire altro che un brivido, la F1 ha fatto passi da gigante. Ayrton non c’è più, di lui sono rimaste le imprese, le 41 vittorie, le 65 pole position, una McLaren stradale, musei, fumetti, video, documentari ma, soprattutto, un esempio per tutti, umanamente parlando, anche per chi, come me, non ha mai avuto la fortuna, o l’abilità di cimentarsi in pista e di sfidare il proprio destino con le auto da corsa.
Ciao Ayrton.
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