Pochi mesi fa Audi ha lanciato quella che si appresta ad essere la station wagon più potente, veloce e brutale mai creata fino ad oggi: l’Audi RS6 Avant GT. Prodotta in soli 660 esemplari, dei quali 40 per il mercato italiano, condivide la stessa base tecnica della Performance, forte del 4.0 litri TFSi V8 biturbo da 630 cv e 850 Nm di coppia gestiti dalla storica trazione integrale permanente “Quattro”, ma che grazie all’alleggerimento di 15 kg rispetto alla Performance e di ben 40 rispetto alla RS6 “standard”, copre lo 0-100 km/h in 3,3 secondi e lo 0-200 km/h in 11,5 secondi con una velocità massima di 305 km/h.
L’esaltante proposta porta chiaramente su strada i concetti espressi dalla precedente Concept Audi RS6 Avant GTO del 2020, ma ponendo l’attenzione su alcuni dettagli estetici che ci permettono di arrivare al 1989, anno nel quale Audi schierò nel campionato statunitense IMSA (International Motor Sports Association) l’altrettanto brutale Audi 90 Quattro IMSA-GTO. Tutto riporta a lei: i colori, le strisce, la livrea nella zona frontale e il particolare disegno dei cerchi in lega. Dunque diviene doveroso conoscere questa capostipite, così importante da portare Audi a ricordarla attraverso un modello in serie limitata (e fotografandole una accanto all’altra).
Nel 1984 Audi presenta il modello Audi 90 (a cinque cilindri) ponendolo come sorella di livello superiore dell’Audi 80 (a quattro cilindri). Un pò come accadde con l’ammiraglia Audi 100 alla quale venne affiancata la sorellona 200.
La nuova berlina di Ingolstadt rientrò perfettamente nel progetto di Audi che consisteva nel diventare, modello dopo modello, il nuovo marchio di riferimento nel settore “premium”, sfidando il mercato interno monopolizzato da Mercedes-Benz e BMW, quello europeo con Lancia, Jaguar e Alfa Romeo e soprattutto quello statunitense dove ancora Audi non riusciva a guadagnare posizione.
Proprio l’enorme mercato statunitense divenne in breve tempo l’obiettivo principale, perché se ormai Mercedes-Benz e BMW non dovevano conquistarsi nulla, Audi faceva grande fatica a sfondare nel cuore (e nel portafogli) dell’americano tipo alla ricerca una vettura di alto livello: per molti Audi era ancora sostanzialmente una sorta di “Volkswagen che costava molto”. Un’immagine pessima, tutt’altro che premium. Come convincerli del contrario? L’Audi decise di colmare il gap giocando una partita pericolosa, specialmente se persa, con un clamoroso successo sportivo da conquistare proprio nei campionati automobilistici a stelle e strisce. Così come era riuscita a fare in Europa attraverso i Rally. Inoltre, questa fu anche l’indicazione arrivata dalla filiale USA di Audi; è bene ricordare che non fu la prima volta perché l’anno precedente venne schierata l’Audi 200 che asfaltò gli avversari nella serie Trans-AM.
Fra i tanti campionati possibili Audi scelse l’lMSA, il più prestigioso e impegnativo per vetture Turismo, selezionando la categoria GTO dove gareggiavano auto velocissime e spettacolari che, sul piano estetico, mantenevano alcuni riferimenti riconoscibili delle versioni di serie. Caratteristiche ottime per spingere le vendite. Difatti, come base di partenza si scelse la vettura media Audi 90 di terza generazione che, oltre ad essere commercialmente quella giusta da spingere in USA, presentava un prestazionale Cx di 0,29.
Il dipartimento Audi Sport interpretò con il massimo della tecnologia le possibilità concesse dal regolamento: mantenere la posizione del motore, il numero di cilindri e il tipo di trazione della vettura di serie (integrale Quattro), rispettando il disegno della carrozzeria che doveva restare inalterato sopra la linea di cintura mentre sotto i preparatori avevano mano libera. Venne realizzato un pianale in carbonio e un telaio in tubi rivestiti di Kevlar, il tutto coperto da una carrozzeria anch’essa in carbonio caratterizzata da fianchi molto larghi e pannelli aerodinamici, con lo scopo di avvolgere la nuova sagoma ottimizzando aerodinamica, raffreddamento e stabilità. Per migliorare la penetrazione aerodinamica, i cerchi furono coperti da un cono in composito con alette di raffreddamento.
Per il motore si lavorò sull’unità della Quattro di Gruppo B, un 5 cilindri di 2190 cc in lega leggera con carter secco e quattro valvole per cilindro, spinto a 720 cv a 6000 giri/min che spingeva l’auto a 310 km/h, gestiti da un cambio a cinque marce.
Schierata nelle mani di piloti leggendari come Walter Roehrl e Hans-Joachim Stuck, per un pelo non vinse il campionato, ma solo perché Audi rinunciò alla 24 Ore di Daytona e alla 12 Ore di Sebring, considerate troppo lunghe per le specifiche dell’auto. Ma quando scese in pista si mangiò tutti gli avversari con 7 vittorie in 13 gare. Il fine non era necessariamente vincere, ma mostrare la nuova vita di Audi con un risultato certamente da ricordare.
Autore: Federico Signorelli
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