Dove eravamo rimasti? Se abbiamo dedicato il secondo capitolo ai fasti dell’era DTM, erano gli inizi degli anni ’90, vi ricorderete (se vi siete dimenticate potete rinfrescarvi la memoria leggendo il primo capitolo dedicato alla storia sportiva di Alfa Romeo) si era chiuso proprio nel 1937, quindi due anni prima dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale. Proprio quell’anno, nelle Scuderie Ferrari all’epoca reparto sportivo del Biscione, nasceva la 158, soprannominata Alfetta per le sue dimensioni contenute. Una vettura destinata a far parlare di sè e nata appena in tempo per consegnare ai posteri la storia di rosso verniciata.
Nel 1950, infatti, nacque il campionato del mondo di F.1 e, dopo lo stop forzato del periodo bellico, la 158 si presentò subito come la vettura da battere nelle mani di Giuseppe “Nino” Farina, con l’en plein di vittorie e il titolo mondiale nel 1950 seguito l’anno dopo da Juan Manuel Fangio sulla 159, evoluzione di un progetto rimasto vincente per quasi un ventennio e allo stesso tempo per molti anni al riparo, fuori Modena, dai bombardamenti degli alleati durante l’occupazione nazifascista.
Uscita con le ossa rotte dalla guerra, fu proprio per merito di un progetto nato prima di quest’ultima che Alfa Romeo ebbe ragione degli avversari ma la decisione che nessuno voleva prendere fu inevitabile: per tornare a produrre auto di serie competitive sul mercato, specie nel periodo post bellico, bisognava dire addio alle corse, una mossa che senza volerlo favorì la crescita della Scuderia Ferrari già vincitrice nel 1952 con Alberto Ascari.
Un curioso episodio, che lega Enzo Ferrari alla “sua” Alfa Romeo, risale al 1951, in piena lotta durante il campionato quando José Froilan Gonzalez battè lo squadrone Alfa sulla pista di Silverstone ottenendo la prima di 233 vittorie. Un successo storico che portò alle lacrime il Drake, un po’ per l’emozione, un po’ per, parole testuali, “aver ucciso mia madre”, visto il noto rapporto che legò negli anni ’30 il reparto Alfa Corse e il fondatore della Casa di Maranello.
Ritirandosi imbattuta dalle corse, il rapporto tra Alfa Romeo e la F1 riprese un ventennio più tardi, dopo le importanti affermazioni nel campionato europeo turismo con le GTA e negli anni ’70 con la Tipo 33, con i successi nel Mondiale Marche nel 1975 e ’77.
Sono questi i successi che convinsero Alfa Romeo, nonostante fosse già da diversi anni una fornitura a team privati come la McLaren nei primi anni ’70, a fare il grande passo, anche se ci fu il preludio al ritorno firmato Bernie Ecclestone. Proprio grazie a un accordo con l’ex padre padrone della F.1, ai tempi capo della Brabham, il 12 cilindri Boxer arrivò sulla Brabham (la famosa BT46/B con il ventolone vittoriosa al GP di Svezia 1978, montava il 12 cilindri Alfa), ma venne frenato dal contemporaneo sviluppo delle minigonne e dei fondi modificati che venivano ostacolati dall’ampiezza delle bancate del 12 cilindri piatto progettato dall’Ing. Carlo Chiti.
I vertici Alfa si convinsero però di tornare ufficialmente in Formula 1 nel 1979. Al volante della 177 salì il quasi debuttante Bruno Giacomelli con dietro le sue spalle il 3.0 boxer 12 cilindri aspirato, senza però cogliere risultati di rilievo; tempo di arrivare a Monza e debuttava la 179, una monoposto già pensata per massimizzare l’effetto suolo imperante in quell’era rimasta appunto nella memoria degli appassionati come quella dello sviluppo estremo dell’aerodinamica del fondo vettura con le famose minigonne.
Il 1980 fu il primo anno di impiego totale della 179 con la famosa livrea Marlboro (foto di copertina) e ci fu subito il primo arrivo a punti (5° posto in Argentina) che regalò la prima grande soddisfazione a mamma Alfa, a digiuno da quell’ormai lontano 1951. Da quel momento l’impegno della squadra ufficiale si fece costante fino al 1985 con piloti del calibro di Vittorio Brambilla, Mario Andretti, Andrea de Cesaris, Riccardo Patrese e Eddie Cheever con lo stesso Giacomelli che condusse per una buona parte di gara il Gran Premio d’America del 1980 dopo averne registrato la pole. Il miglior piazzamento, dopo due pole position, fu il 6° posto nel 1983 ma non arrivarono mai le vittorie tanto sperate.
Complice la crisi che l’avrebbe portata nel 1987 a essere acquistata in toto da Fiat, sull’orlo del fallimento, si interruppe ancora una volta la storia di Alfa Romeo in F1, sebbene un motore turbo ribattezzato Osella V8 corse ancora la stagione 1988 con scarsi risultati. Il palmarès di Alfa Romeo in F1, tirando le somme, ci sono stati nei nove anni totali (1950/51 e 1979/85) due titoli mondiali, dieci vittorie, dodici pole position, ventisei podi e quattro doppiette.
Per una precisa strategia di marketing, di ampie vedute osiamo aggiungere, il logo Alfa Romeo tornò a farsi vedere a trent’anni di distanza dall’ultima apparizione nel mondiale sulla macchina più popolare, la Ferrari, a rinsaldare un legame mai sopito tra il Cavallino e la Casa di Arese. Era il 2015 e nessuno avrebbe immaginato che due anni più tardi (dicembre 2017) sarebbe stato annunciato il ritorno ufficiale di Alfa Romeo tra le monoposto iridate.
Nessuna partnership tecnica ma solo immagine per un’operazione che ha visto nel compianto Marchionne il suo più grande sostenitore, tanto da definirla nel dicembre scorso “una figata”! Ora che lui non c’è più il rischio che tutto naufraghi è coerente, bisognerà capire la volontà della nuova dirigenza. Rinfrancata dai soldi della proprietà della squadra svizzera e con sempre più supporto da parte della Ferrari, non si può non godere, da appassionati, vedendo il logo del Biscione risplendere sul cofano motore della C37 e sulle tute del promettente Leclerc e dell’esperto Ericsson.
Da qui al titolo mondiale di quasi settant’anni fa la strada è lunga, lunghissima, sempre se Alfa Romeo e la nuova dirigenza di FCA vorranno mantenere l’impegno così a lungo da portare in bacheca qualche altro risultato importante. Staremo a vedere…
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