La seconda metà degli anni Novanta è un momento d’oro per il marchio Alfa Romeo. Finalmente sembra che sia arrivato il momento di lasciarsi alle spalle le incertezze organizzative, economiche e gestionali puntando verso un ritorno sul mercato in grande spolvero. Non che mancassero prodotti validi in gamma, ma questi certamente iniziarono a risentire del peso degli anni, per cui i clienti cominciarono a volgere le proprie tasche altrove (dalle vetture tedesche in particolare). Inoltre il nuovo millennio si avvicina e serve qualcosa di davvero nuovo, in grado di scuotere e rinvigorire il marchio.
La prima novità che segna il grande ritorno dell’Alfa Romeo sul mercato con le giuste armi e uno stile totalmente rinnovato ma riconoscibile (dovuto al team del nuovo direttore del Centro Stile Alfa Romeo, Walter de Silva), è la berlina Alfa Romeo 156 del 1997 (declinata nel 2000 nell’inedita versione Sportwagon). L’offensiva continua con l’ammiraglia 166 nel 1998 e la segmento C Alfa Romeo 147 nel 2000. Senza dimenticare le potenti versioni GTA, che caratterizzeranno sia la 156 che la 147. Un’operazione di questa intensità e qualità non lascia indifferente la Bertone che si inserisce presentando al Salone dell’Automobile di Ginevra del 1999 l’indimenticabile coupé Alfa Romeo Bella Bertone, chiudendo questo ciclo di “riscoperte” dopo Porsche Karisma, Lancia Kayak, Fiat Bravo Enduro e Alfa Romeo 145 Sportut della carrozzeria torinese.
L’operazione dimostra, in particolare dopo la precedente 145 Sportut, una sana affezione ad uno dei più magici marchi italiani. Questo è un elemento da non sottovalutare perché, oltre alle scelte dettate dalle condizioni favorevoli, occorre sempre tenere in considerazione l’eterno appeal che alcuni marchi conservano.
La proposta per la nuova vettura prende il via sulla base di alcune semplici ma importanti considerazioni. Quale? Proporre qualcosa di inedito, producibile, di grande effetto e appetibile per un eventuale cliente. Per ottenere tutto ciò si punta al telaio della grande 166, che con le sue imponenti dimensioni consente di poter studiare qualcosa dal forte impatto (inoltre è anche l’ultima nata al momento dello sviluppo). Per questo il telaio viene toccato solo con l’accorciamento delle sbalzo posteriore, rispettandone in generale tutte le altre dimensioni utilizzando gli attacchi porta e la zona del parafiamma (molto costosi da sviluppare nuovamente).
L’idea è quella di tratteggiare una coupé 4 posti dalle forme slanciate e compatte (dimensioni 4460 mm di lunghezza, 1919 di larghezza e 1320 mm in altezza), che in qualche modo rivedono lo schema cofano lungo, abitacolo arretrato e coda molto corta già sperimentato alcuni anni prima con la Lancia Kayak, dissimulando completamente la diversa tipologia e le proporzioni della vettura donatrice. Si manterrà il motore della 166 (il prototipo sarà perfettamente marciante), ovvero il V6 Busso da 3 litri con 225 CV.
Tra le direttive che il capo del Centro Stile Bertone Luciano D’Ambrosio ha fissato c’è quello di immaginare un’Alfa Romeo davvero nuova che uscisse dal “recinto” stilistico formato dalla tipica organizzazione degli stilemi del marchio, specialmente nella zona anteriore: una disposizione molto radicata che spesso rischia di pre-impostarne lo stile già alla base. Difatti il design che ne deriva è sia evolutivo che antitetico. L’impostazione formale dell’anteriore è morbida ma molto picchiante, sottolineata dallo scudetto quasi stirato sul cofano, teso come fosse trascinato da un turbolento colpo d’aria. A questo si aggiungono i due sottilissimi fari anteriori, resi possibili grazie all’uso inedito della tecnologia Led (al tempo avversata), che si ripete negli altrettanto sottili e quasi invisibili se spenti, fanali posteriori. Gli stessi ingressi d’aria sono minimi e proporzionati in relazione alle necessità, senza esibizionismi. Il linguaggio dell’auto è di tipo scultoreo, nel quale gli elementi funzionali vengono nascosti o assorbiti nel modellato generale che si caratterizza per un ritorno alla linea tesa.
Tra le molte novità introdotte sull’Alfa Romeo Bella di Bertone troviamo anche un riferimento, ma non imitativo, alla forma a “visiera” composta dal gruppo finestrini-parabrezza della Lancia Stratos. Qui viene portato ad un nuovo livello perché non solo dinamizza la vettura, ma rende l’abitacolo particolarmente luminoso insieme all’esteso lunotto evitando l’effetto “buca delle lettere” tipico di molte coupé. Proprio per massimizzare la funzionalità, le stesse portiere sono avvolgenti e di ampie dimensioni, al punto da portare con sé una parte del tetto vettura.
Seppur per ragioni di maggior realizzabilità gli interni come cruscotto e componenti dei pannelli porta derivano in gran parte da quelli della 166 di serie, Alfa Romeo Bella Bertone non manca di personalità e di soluzioni progettuali innovative. Il rivestimento in nero del cruscotto è in uno speciale tessuto alveolare traspirante solitamente utilizzato nei sedili. Questo consente di assorbire e disperdere il calore grazie all’ausilio di speciali ventole che eliminano il surriscaldamento e il relativo “vento caldo” che si percepisce ogni qual volta si accende il condizionatore. Ciò favorisce l’abbassamento della temperatura in abitacolo se esposto al sole.
Altra soluzione la troviamo nella modulazione dei sedili posteriori. Le sedute si ribaltano in avanti contro il sedile anteriore occupando meno spazio, mentre lo schienale si alza permettendo di nascondere ciò che viene caricato in porta bagagli, come ad esempio la bicicletta chiamata “Bestia”, progetto innovativo sviluppato da Bertone nell’orbita di una precedente collaborazione con Opel.
La vettura piace, ma come successo per le altre sorelle non arriva il disco verde per la produzione. La storia della Alfa Romeo Bella di Bertone terminerà alla fine di quel Salone di Ginevra del ‘99 attraversando il Traforo del Monte Bianco sulle sue stesse ruote. Questo ritorno su strada riprende ciò che avveniva negli anni Sessanta, e dimostrò le potenzialità non concretizzate di un progetto, è proprio il caso di dirlo, bellissimo.
Autore: Federico Signorelli
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