Oggi chi deve comprare una nuova auto viene letteralmente bombardato dalla propaganda dell’elettrico. Circa il 37% (dati Automotive Dealer Day 2020) dei futuri acquirenti considerano, infatti, l’acquisto di un’auto elettrica. Avete capito bene, però, la chiamiamo propaganda proprio perché nella maggior parte dei casi si tratta di una bolla creata da incentivi e da pubblicità, ma poi sotto questa coltre di nubi e di informazioni fuorvianti cosa rimane? Rispondiamo con 3 questioni ben note, ma che vi aiuteranno a ragionare.
Possiamo parlarne quanto vogliamo, ma oggi come oggi siamo “dipendenti” dall’autonomia della nostra auto, la consideriamo un fattore fondamentale, mentre spulciamo il computer di bordo, guardandolo e riguardandolo durante un viaggio per vedere come scendono i chilometri a nostra disposizione. La nostra mentalità è destinata a cambiare, ma ci vuole tempo; basti vedere come ci comportiamo con i più moderni smartphone, che appena scendono sotto il 50% di batteria residua corriamo a cercare una presa di corrente.
Le elettriche più virtuose oggi arrivano ad assicurare circa 600 km di autonomia con una ricarica completa, ma la media si attesta tra i 300 e i 400, omologati tra il più realista ciclo di omologazione WLTP e il più “ottimista” NEDC (c’è ancora qualcuno che comunica furbescamente solo questo dato). In città, poi, le auto elettriche confermano le aspettative, ma in autostrada o su strade a percorrenza veloce, le vetture elettriche consumano molta energia, risultando inefficaci in questo habitat. Se la vettura elettrica in questione è pensata per la città e ha circa 200 km di autonomia “reali”, in questo ambiente me la posso cavare con grande tranquillità. Se, però, si tratta della mia unica auto questo vuol dire che non posso neanche pianificare una gita fuoriporta al lago o in altri posti nel raggio di 100 km, perché poi non so se riesco a tornare e nei posti che raggiungo a oggi non c’è neanche l’ombra di un punto di ricarica. Solo a me sembra un po’ limitante?
La soluzione? Ipotizzo che serva del tempo per studiare una nuova tecnologia per le batterie o semplicemente che l’evoluzione faccia il suo corso, per garantire un mix tra autonomia e tempi di ricarica in batterie più compatte, leggere e sicure possibili. È Sicuramente un bene che grandi energie si stiano concentrando su questo campo. Già oggi si stanno facendo miracoli. D’altronde siamo negli “Anni 0” dell’auto elettrica.
È la principale differenza tra l’Italia e altri paesi europei più virtuosi, dove le auto elettriche stanno già conquistando il mercato. Nel nostro paese le infrastrutture sono poche, con circa 14.000 punti di ricarica sul territorio e oltre 7.400 pubbliche (il 33% in più rispetto allo scorso anno – Dati di Motus-E).
Di questi punti di ricarica, quanti sono situati in autostrada? Nella stessa ricerca, sui 6.943 km di nastro stradale in Italia, calcola 13 colonnine ogni 100 km, e la maggiore diffusione al Nord rispetto al Sud è sempre da tenere in considerazione sul risultato di questa media. Per farvi capire, in Lombardia, a livello di dimensioni più estesa del Molise, ci sono 2.467 punti di ricarica, mentre nella piccola regione del sud, appena 106.
Eafo (Osservatorio sulla mobilità elettrica della Commissione europea), inoltre constata – in uno studio del 2019 – che a fine 2018 l’Italia si piazzava all’ultimo posto fra i nove principali Paesi con poco più di 4.000 stazioni, mentre in Francia erano quasi 30.000, in Germania 32.000 e nel Regno Unito quasi 25.000. Sicuramente in questi anni l’Italia ha recuperato diverso terreno, ma se il mercato cresce l’insufficienza di postazioni diventerà evidente.
In tutto questo quale ruolo avranno le stazioni di servizio? Dovranno essere pian piano riconvertire grossi punti di ricarica, trasformandosi in grosse centrali di fornitura di energia e, magari in futuro, essere in grado di scambiare istantaneamente batterie scariche con unità appena caricate, per un “pit stop instantaneo”.
Partendo dalle tempistiche che servono per ricaricare un’auto elettrica, iniziamo con l’affermare che è sicuramente più lungo rispetto a un rifornimento tradizionale di carburante. La corrente con la quale alimentare un’auto a batteria può essere continua/DC (la più veloce) o alternata/AC (la più “lenta”). La prima è presente solo alle colonnine di ricarica pubbliche, mentre la seconda è quella che abbiamo e utilizziamo anche a casa tutti i giorni.
Semplificando molto una questione più complessa e articolata, la prima può essere anche molto veloce e caricare in 20 minuti l’80% della batteria, mentre la seconda per la stessa quantità di energia erogata può impiegarci anche 30 ore. Un esempio: per caricare la stessa auto da 40 kWh di batteria con una rete da 22 kW, ci si impiegherà circa due ore, mentre con quella più lenta domestica 3,3 kW, le ore sono più di 10.
Come riportato in un articolo di Bruno Lombardi, esperto di energia, titolare della DSI e Direttore di Master “Energia e Mobilità Sostenibile”, il “servizio” si paga mediamente 0,48 €/kWh, poco meno di 25 € per una carica di 50 kWh. Con tale quantità di energia si percorrono realisticamente 200-220 km, con un costo di circa 0,10 €/km. Ipotizzando una percorrenza media mensile di 1.000 km, si spenderanno circa 100 € di energia elettrica al mese. A parità di percorrenza, con un’auto alimentata a gasolio si spenderebbero circa 62 €, con un risparmio di 38 € al mese. Più sottile e sicuramente inferiore il risparmio con un’auto a benzina, ma se a questo si aggiunge il prezzo di acquisto chi guarda la convenienza e la facilità di uso farà un po’ fatica a optare per un’auto elettrica.
Con l’aumento delle vendite e la maggior richiesta di energia arriveranno anche tariffe più convenienti, ma ad oggi è sicuramente più economico ricaricare l’auto con la tariffa casalinga (siamo sui 0,22 euro a kWh), a patto che possiate farlo.
È una bocciatura in toto alle auto elettriche? Assolutamente no, anzi. Solamente è troppo presto per buttarsi in questo mondo. Potremmo ancora parlare del costo di acquisto più alto (gli incentivi fanno qualcosa, ma hanno una scadenza e una disponibilità limitata), o della reale ecosostenibilità della auto elettriche, tra smaltimento delle batterie e produzione di energia veramente “green”, non solo di spostamento da emissioni locali a emissioni globali. Ben vengano le ibride che rappresentano il presente e il futuro prossimo, soprattutto per quanto riguarda le Plug-in Hybrid (quelle con “la spina” per intenderci) che ci permettono di lavorare ulteriormente sulla creazione di infrastrutture di ricarica e poi tra una decina di anni potremo essere pronti, almeno in Italia, a guidare una BEV (Battery Electric Vehicle) senza problemi.
Se arriveranno ulteriori incentivi e pressioni sulle case automobilistiche (vedi i già pesantissimi limiti di emissioni con multe miliardarie) il processo potrà essere più veloce, ma sono molteplici gli studi che confermano un’attesa almeno fino al 2030 full electric tra le protagoniste del mercato. È un passaggio epocale, dal “brutto e sporco” petrolio al più pulito elettrico. Sperando che poi l’energia elettrica sia veramente così “pulita”.
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